Waste = Rifiuto
Zero waste = Assenza di rifiuti
Dal punto di vista lessicale ed etimologico, parrebbe tutto molto semplice.
<<Questo oggetto serve ancora a qualcosa? Ci si può ricavare un utile? No? Allora eccolo trasformato in rifiuto>>.
Ma, alla luce della quantità impressionante di prodotti di scarto che quotidianamente vengono prodotti, il percorso “bene-rifiuto”, non può essere considerato superficialmente.
L’atto del rifiutare, ancorché legittimo e giustificato, rappresenta solo un anello della catena di consumo dei beni. Lo precede la progettazione ambientale (oggi del tutto inesistente) e gli succede la gestione dello scarto ovvero le modalità che è necessario porre in atto per evitare che questo diventi un problema per la collettività.
Discariche, inceneritori, termovalorizzatori, impianti di compostaggio, distillazioni e recuperi; è tutto un fiorire di attività che del rifiuto hanno fatto il loro motivo di esistere e che senza troverebbero il loro termine.
I poteri forti, legittimi o no, hanno da tempo compreso il meccanismo e soprattutto il business legato all’ultimo anello del ciclo e hanno posto in essere meccanismi d’ogni specie per implementarne la produzione.
Normative miopi o di parte, imballaggi ridondanti, scadenze di prodotti alimentari un tempo, a ragione, considerati come durevoli; condite da una “cultura” superficiale e frettolosa che nel pressapochismo emotivo ha la sua bandiera, hanno avuto come risultato il proliferare della quantità di rifiuti d’ogni tipo e caratteristica. Ne abbiamo ovunque. Ne siamo immersi.
Non ci piace. Dislike. Pollice verso.
L’economia contadina italiana, almeno fino al primo dopo guerra, non conosceva il concetto di rifiuto; nulla veniva rifiutato. Tutto trovava collocazione in un equilibrio che poneva in relazione fra loro le forme di vita del proprio ambiente, dove una sosteneva l’altra in un continuo gioco di cedere e fruire, in un ciclo perenne dove ciascun attore conosceva perfettamente la propria collocazione sulla scena e la propria parte.
Sia chiaro, in queste righe non c’è alcun rimpianto per la vita grama di gran parte dei nostri nonni tuttavia un tarlo ci rode la coscienza suggerendoci che, come sempre, non tutto il torto e non tutta la ragione, stanno da una sola parte e che forse la saggezza consiste nell’evidenziare i lati positivi per la società da una parte e dall’altra, cercando di armonizzarli fra loro esaltandone le peculiarità.
Così anche per i rifiuti.
E’ del tutto evidente che la loro quantità è direttamente proporzionale alla volontà di produrne e questa è anch’essa direttamente proporzionale al business da loro generato.
Pensiamo solo alle materie prime per la realizzazione degli imballi, alla loro produzione, alla distribuzione, all’impiego, alla impossibilità di riutilizzo e quindi alla necessità di gestione del rifiuto.
E’ ridicolo pensare che le tasse sulla produzione degli imballi possa essere altro che una ulteriore spremitura di una risorsa utile a giustificare ancora una volta la sua produzione.
A questa aberrazione, da parte nostra, possiamo aggiungere la scellerata equiparazione della lana di tosa a un rifiuto; il tutto a vantaggio delle fibre artificiali ovvero alle lane d’importazione.
I nostri amici tosatori che di questo mestiere ci vivono, non esitano a parlarci molto chiaro; schietti ed essenziali, come le loro mani e il loro sguardo: ”Due euro a pecora per essere tosata come si deve. E ringraziare il commerciante che senza far pagare si porta via la lana”.
Aberrazioni della legge? Forse, ma non solo.
A noi sorge il sospetto che ci sia ben altro, in particolare una mancanza atavica di cultura e capacità critica ampiamente integrate da interessi economici enormi.
Ma non sempre, non tutto va in questa direzione.
A Capannori (Lucca), sabato 21 giugno 2014 Rossano Ercolini e Zero Waste Italy hanno premiato diciotto aziende italiane impegnate nella lotta al rifiuto, e tra queste anche il Consorzio Biella The Wool Company di cui The Wool Box è emanazione. Anche la radio ha dato spazio al tema, e questo ci pare un segnale da non sottovalutare.
Parola d’ordine dell’iniziativa è stata “progettazione” ovvero come impostare lo studio di prodotto con la finalità di produrre “zero waste”; insomma un ritorno al modo di intendere il flusso della vita che appartiene alle culture che ce l’hanno garantita e consegnata: Nulla di nuovo quindi ma, come ci piace più volte dire: “un passa indietro per farne due in avanti”.
Consapevolezza, ritmo, cultura, conoscenza del passato, visione del presente e del futuro.
Ci piace. Like. pollice recto.
Per saperne di più, date una lettura ai link proposti in questo testo ma, soprattutto, non stancatevi di informarvi e di esercitare il vostro giudizio critico.
Ogni nostra scelta lascia il segno e contribuisce a dare o sottrarre futuro a noi, a nostri figli, ai nostri nipoti.
Buona lana, lana buona.
